In posta a Mexico City


Adesso sono a San Diego, lavato e riposato abbastanza. Ma ieri e' sta l'ultima e impegnativa giornata a Città del Messico. Le elezioni si avvicinano (1 luglio) e nella capitale ci sono continue manifestazioni che creano ingorghi colossali, con vigili impotenti, che urlano, corrono e fischiano in fischietti dai molteplici suoni.

Dopo una vita che non scrivevo cartoline ho deciso di mandarne qualcuna. In centro c'e' il Palazzo delle Poste: sontuosa e opulenta costruzione dai colori dorati. I francobolli si prendono allo sportello e poi le cartoline si imbucano in un afessura improbabile. Ore 9 del mattino, solo uno sportello aperto. In effetti c'e' poca gente. Mi metto in coda e siamo cinque persone. I primi due sono ragazzotti in stile band heavy metal dai fluenti capelli lunghi e vestiti di nero. Hanno con sé tre zainoni di quelli grandi. Saranno viaggiatori? No! sono pieni di pacchetti da spedire. Inizia il lentissimo processo: tirano fuori masse di pacchettini tutti da controllare, pesare e affrancare. Intanto la coda dietro cresce sempre più. E lo sportello aperto rimane sempre lo stesso, solitario. C'e' voluta un' ora intera. I pacchetti saranno stati almeno 300, forse di più, per un valore di spedizione di 16000 pesos (800 euro), rigorosamente pagati in contanti e anche quelli contati e ricontati. A metà del percorso, da buon italiano, sono andato davanti e in uno spagnolo inventato ho chiesto di aprire l'altro sportello, la risposta e' stata: "No es posible". Punto.

Dopo un'ora di coda e dopo che finalmente l'ultimo pesos è stato contato che succede? Ovvio, apre il secondo sportello a lato. I messicani sono i nostri cugini di primissimo grado!







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